Emiliano Tormena con la moglie Luigia Menin (inizi del Novecento)
“Regnando Vittorio Emanuele terzo per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’Italia, l’anno millenovecentotto, 1908, addì 12 = dodici del mese di gennaio, in Valdobbiadene, avanti a me Spironelli Girolamo, notaro, …”.
Inizia così il documento prodotto dalle cartiere regie intitolato Cessione di quote e divisione e registrato al numero di protocollo 752.
Era il 1908 ed Emiliano diventava proprietario del tratto di rive del Col Funer adibito a castagneto, pascolo, prato, bosco ceduo e, per molti lotti, a vigneto.
A metà dell’Ottocento, il trisavolo Vincenzo coltivava la vigna e produceva vino. Furono però suo figlio Emiliano e i nipoti Alfonso e Vincenzo, attorno agli anni ’30 del secolo scorso, a dedicarsi caparbiamente alla coltivazione della vigna. In quegli anni tenere il bosco per fare legna o produrre castagne era l’attività più usuale, mentre l’uva veniva coltivata quasi sempre per uso familiare. Ma il vigneto autoctono di Col Funer aveva mantenuto una tipicità di alto pregio, che Carpenè Malvolti elogiò nel libro d’oro menzionando l’unicità del terreno e la qualità delle uve. Il vino di Emiliano e di Alfonso era conosciuto e apprezzato perfino dai nobili Veneziani che salivano in collina per acquistarlo.
Vennero gli anni bui dei conflitti mondiali: la casa della cui esistenza si ha notizia in un documento risalente al 1540, in cui erano nati e cresciuti tutti i componenti della famiglia Tormena, fu in parte bombardata e occupata dai soldati, che utilizzarono il grande gelso del giardino per sostenere le pesanti marmitte per la preparazione del rancio. Ma Alfonso non si diede per vinto. Riappropriatosi della casa, riprese a soli 12 anni a piantare barbatelle. Molte delle piante di oggi risalgono proprio alle fatiche e alla determinazione di allora.
Il figlio di Alfonso, Emiliano – omonimo del nonno –, ha poi continuato la tradizione, iniziando negli anni ‘80 l’imbottigliamento dello spumante e compiendo il salto verso un mercato più ampio insieme alle figlie che oggi si occupano dell’azienda a tutto tondo. Fin da piccole, si sono imposte per aiutare il padre e il nonno e ora sono le più appassionate depositarie dei racconti che si tramandano in famiglia.
Aneddoti di loro bambine sulle ginocchia del nonno o sul trattore carico di uva, storie di gente locale e delle fatiche degli uomini, fotografie che suscitano ricordi, un albero genealogico per il quale nutrono un forte orgoglio, sono gli elementi che arricchiscono l’accoglienza gioviale che le figlie di Emiliano riservano a chi varca il cancello di casa.